e disse…erri de luca

ERRI DE LUCA

E DISSE

Feltrinelli 2011

Lassù si avvolgeva di vento. Una sommità senza urto di masse d’aria addosso è spaventosa. Poiché l’immenso sta trattenendo il fiato.

 

S’intendeva di vento: se si stava stropicciando contro il suolo per caricare la miccia del fulmine, se veniva dal su d secco e assetato a pizzicare il naso e dare frenesia ai profeti. Sapeva il vento di est che porta la cenere e la polvere degli antenati. Allora al tornio del vasaio insieme all’argilla si mescola l’ultima consistenza delle vite accadute. Sapeva il vento dell’ovest che raccoglie acqua salata e la trasforma in dolce prima di rovesciarla nelle cisterne e i pozzi.

 

…Tra le cime frantumate dai fulmini era lieto di offrire le sue gocce sudate al vento che le aggiungeva al resto delle materie prime.

 

…Aveva dentro gli occhi il callo dell’insonnia.

…In lui si concentrava l’energia dell’ultimo, un riassunto di esistenze perdute. Andava solo, qualunque altro accanto gli avrebbe sparigliato la solitudine.

…E com’era la terra da lassù? Era un palmo di mano spalancata. Dava poca soddisfazione a chi chiedeva.

…Una donna riproduce il mondo con il grembo, a un uomo resta e spetta di ricordare. E’ questo il suo contributo alle generazioni.

…I ricordi appartengono al regno degli uccelli, quando vanno lasciano una piuma. Da quella si sa di che specie sono.

…Non è bene per un uomo essere per se stesso perchè fa un atto di comparazione con la divinità, che sta da sola(…) nelle solitudini si fanno e si disfano mondi.E’ la nostra novità, noi siamo i raggiunti dalla rivelazione che esiste una divinità soltanto. Tutti gli altri sono idoli scaduti. Noi ripetiamo che il nostro Adonài è Uno, ma pure che è solo. (…)E’ una, ma la sua unità non serve per contare, è un numero inservibile, niente da aggiungere o da togliere. Dire che è una non è atto di fede, ma di condivisione della sua solitudine. Va detto con affetto e con sostegno.

“Allora un uomo che esiste per sé stesso si compara alla divinità”.

Voleva il vuoto intorno intorno e sotto i piedi per abitare il deserto della divinità?

 

Tutto cadde di mano tranne i bambini dal braccio delle madri…

…Il silenzio seguente fu quello del latte che caglia…in un palmo di mano passato sugli occhi, esiste un silenzio di condensa. Respiravano solo dal naso per non fare rumore in se stessi.

 

Le donne si scambiavano occhiate, si davano di gomito: il tu che si stampava sulla roccia era al maschile. L’ebraico separa i sessi pure dentro i verbi e i terminali dei pronomi. Il tu sopra la roccia era al maschile. Spettava perciò agli uomini trasmettere le clausole e le righe di alleanza con la divinità. Per loro, per le donne, un’incombenza in meno, si scambiavano sguardi per intesa.

Toccava agli uomini. Del resto, nella loro lingua maschio e ricordo hanno radice uguale: Si dessero perciò da fare loro con la scrittura sacra e con la trasmissione. Le donne ebree erano ben cariche di compiti. Gli uomini non erano più servi d’Egitto, avevano un sacco di tempo libero. Per le donne invece  era cambiato poco l’orario di lavoro per le faccende nuove di una carovana. Si reggevano il velo sulla testa con la mano. Quando guardi per aria, reggiti il cappello: era un modo per dire che pure nei momenti più solenni, tieni i piedi piantati sulla terra.Sara, moglie di Abrano, aveva riso all’annuncio di una sua gravidanza, lei vecchia e senza ciclo di fertilità. Le donne sotto il Sinai sorrisero alla divinità che sobbarcava gli uomini. “Almeno servono a qualcosa” disse un’anziana, facendo ridere le giovani spose.

…il noi  in ebraico  non distingue i sessi.

…le donne sapevano di essere le beniamine della divinità. Nascevano perfette, i meschi invece dovevano essere ritoccati con la circoncisione.

Esiste in natura, oltre all’attrazione terrestre, un’attrazione opposta, da chiamare celeste.

Non sono provvedimenti disciplinari( …)E’ un torto l’ignoranza. E che non siano punitive le frasi della divinità si trova scritto subito £ E fece Elohim per Adàm e per la sua donna tuniche di pelle e li coprì”. Il gesto più affettuoso e premuroso, il principio di corredo.

I despoti commettono i loro crimini non per volontà di potenza ma per terrore. Scacciano gli incubi ordinando stragi. Così Faraone ricorrerà all’annegamento dei neonati maschi degli ebrei, riducendo il Nilo da sorgente di vita a macchina di morte. Chi guasta l’acqua ne sarà guastato.

“Dalla roccia di miele ti ho saziato” ( Salmo 81,17). Lo gustavano sotto il palato ma entrava dalle orecchie. Il tu di quelle frasi gonfiava il sangue in cuore. La montagna a srapiombo davanti, il deserto alle spalle e l’aria asciutta: esistono ore perfette.

Gli idoli del mondo scadevano tutti in una volta…Invece dalle parole della divinità si sprigionava una valanga d’intensità fisica.

…la testa nella spalla dell’altro nell’incavo accogliente tra la scapola e il collo. Scoprivano l’incastro che permette a due corpi di fare l’unità.

Ricorda il giorno di sabato. Iniziato la sera del sesto, prolungato nell’insonnia amorosa, nel breve sonno sazio, nel risveglio a giorno canterino. Quello è shabbàt, di quello avrai ricordo…Ricorda la felicità del mattino seguente, la luce sulle palpebre, il risveglio. Era il giorno perfetto, il punto fermo messo a firma del capolavoro. Shabbàt, la cessazione, un suono secco di frutto caduto, il palmo di una mano che si chiude nel palmo dell’altra.

“Non farai per te alcuna opera”: questo ti servirà a ricordare il primo shabbàt del mondo, il corpo t’insegnerà, smettendo. Non è il contrario di fare, è l’esecuzione di un ricordo, di quando senza annuncio né segno si fermò la creazione del cielo e della terra. Non che fosse finita l’opera: il rinnovo continua.

 

…cercavano con gli occhi il posto in cui stava il musicista.

 

Non ammazzerai: che disarmo in cuore si annunciava in quel rigo di apertura di seconda facciata della roccia, in alto, a sinistra della prima. Rinuncia a disporre della vita altrui. Diceva di non ammazzare neanche Caino, primo degli assassini, per non degradare se stessi e le comunità.

“Non sarai adultero”: questo non è difficile mentre ci si sposta sul palmo del deserto.

“Non sarai adultero” perché sarà lo stesso che versare sangue. Perfinoo un re devoto e valoroso, Davide, cadrà nel torto. Per sviscerato amore di Bat Sheva farà ammazzare suo marito Uria, soldato delle sue battaglie. L’adulterio implica il sangue, nel fumo del Sinai scalpellato scorgi ventate della tua storia a venire. Ogni rigo battuto qui provvede a darti avviso e conoscenza. Rispetterai l’amore degli sposi, il loro giuramento. Tra loro è dichiarato un patto in cui non hai diritto di parola. Non importa cosa lo mantenga, se interesse, abitudine, paura: tu non profanerai l’unione stabilita. Esiste la regola che separa, esiste la dissoluzione per la legge. Prima di quello scioglimento non ti intrometterai nel vincolo di nozze. Rispetterai la parola pronunciata da loro, non la diminuirai togliendole valore.

 

L’assemblea del Sinai sudava di futuro. Insieme a loro cantavano a labbra chiuse le assemblee a venire.

“Non ruberai” No, però potrai entrare nel campo del tuo vicino e mangiare del frutto del suo seminato.

E ancora: quando i mietitori saranno passati con la falce, non potranno passare una seconda volta a completare. Quello che resta spetta al diritto di racimolare.

E se lavorerai a salario, il prezzo della tua fatica ti verrà pagato il giorno stesso.

Chi trattiene presso di sé il compenso dovuto all’operaio che ha svolto la sua opera , è pari a un ladro, ma con l’aggravio di opprimere un povero..

Se la persona umana è abbassata a merce, a refurtiva, chi la riduce a questo è ladro.

Questa legge difficile proviene dall’amore, che è intransigente con chi opprime  gli amati. L’amore esige la giustizia in terra, infiamma gli umiliati. L’amore arma la mano dell’oppresso.(…) Non gli affamati insorgono, ma i calpestati in cuore. Non ruberai la loro porzione di uguaglianza.

 

…nel corpo si piantava il vento di una voce da ascoltare.

 

“Non risponderai nel tuo compagno da testimone di inganno” Chi è tenuto a rispondere di un suo compagno si trova come Caino di fronte alla domanda “Dov’è tuo fratello?” La tua testimonianza dità dove si trova, nel torto o nel giusto, tra i vivi o tra i morti, dentro la comunità o escluso.

Lì erano tutti testimoni della divinità. Di fronte a lei ognuno rispondeva del suo vicino. Si scambiarono sguardi intimoriti. Il rigo stabiliva la responsabilità di uno nei confronti degli altri.

Non devi desiderare, perciò governa il tuo appetito.

Qui nel fondo delle dieci righe si decide la differenza tra te e i tuoi persecutori. Tu non desidererai niente dell’altrui. Qui si fonda la tua interiorità. Terrai a freno col morso il desideri, ne sarai il signore, e lui solo un blando richiamo a procurarti i beni terreni interamente tuoi.

Il verbo “hamad” è desiderio di possesso altrui. Comporta il veleno dell’invidia, che vuole usurpare il posto di un altro.

Resta nel tuo, ammira senza voler togliere. L’ammirazione è un sentimento lieto che si rallegra di un bene posseduto da altri, fa bene al sangue e al sorriso, è un fischio di congratulazione, un applauso degli occhi. Non ti è chiesto di togliere lo sguardo, non devi censurarti una bellezza. Resta nel tuo punto di ammirazione, senza spinta a voler subentrare  nel possesso. Ciò che tuo, anche se poco, è la tua primizia.

La divinità frugava nel sentimento che nasce dalle disparità.

Non sarai una ferita sul volto del creato e i tuoi non diranno di te “meshumed”, il distrutto.

Dev’essere a corto di popoli la divinità per bussare alle orecchie dei nostri maschi. Di più cocciuti non ne esistono.

Perché non undici o nove? Perché dieci sono le dita per contarle, dieci parole, ogni dito un anello di catena da tenere a mente. Le mani stanno innanzi all’uomo, gli reggono il lavoro, il verbo fare. E le parole fanno l’uomo, gli stanno davanti, lo guidano oppure lo smarriscono.

“ Argilla siamo tutti noi e tu il nostro vasaio, opera di tua mano tutti noi” Manifattura della divinità, suo marchio e callo di fabbrica: a questo si aggiungevano le dieci volte a capo, da ricopiare a mano finchè cammina il mondo.

 

…la luce del tramonto scalpellava le rughe nella roccia.

…nel deserto a un uomo servono più nomi, più versioni della sua identità.

Il suono della voce aveva procurato beneficio ai corpi. (…)I bambini impararono a leggere al volo e tutti insieme, guardando i caratteri impressi nella voce. Chi aveva un dubbio lo dimenticò, così pure chi attorcigliava il nervo di un rancore. Lo stranieroche si era aggiunto al viaggio fu conteso da molti inviti. Le partorienti ebbero un travaglio svelto, la terra sotto i piedi  non solevò polvere. Nessuna bestia zoppicò. Cominciava una notte senza luna, le stelle ardevano a fiaccolata in una processione. Gli uomini si accostarono alle donne per sigillo di un giorno prodigioso e per urgenza di una generazione  nuova che premeva. “E amerai”questa era giusta e ultima consegna. Le riassumeva tutte.

 

…mi aggiunsi ad un popolo che usciva a braccio alzato e con il canto in gola. (…)L’ebraismo per me non è richiesta di iscrizione, mi tengo l’imperfetto del prepuzio. L’ebraismo è compagnia di viaggio.

Nel 1900 ebrei e meridionali sono saliti sulle stesse navi, anzi scesi, dentro le stive della terza classe sotto la linea di galleggiamento. Noi di Sud lasciavamo la miseria, loro le case  in fiamme dei pogrom. Noi ci staccavamo da una patria amara, loro andavano da un esilio a un altro. Si andava insieme, ai quattro angoli del vento.

 

Dell’ebraismo condivido il viaggio, non l’arrivo. Non in terra promessa, la mia residenza è in margine all’accampamento. Non mi accosto all’altare, alle preghiere. La porzione di manna è garantita da letture in ebraico, aperte innanzi giorno. Condivido l’alba con chi sta zitto e ascolta. A sera la mia tenda è appena fuori dal recinto, il fuoco è acceso con lo stesso sterco di bestiame , ascolto loro vivere in attesa. Non ne ho. Smetterò prima di una terra promessa. Bello però il verbo che va insieme alla promessa, mantenere, che è un tenere per mano. Le mie sono occupate da quaderno e penna.

 

M’invitano alle tende, per l’uguaglianza dovuta allo straniero. Mi invitano fra loro fino a dovere dire molti no. Scegliessi un dove e un come di nascita ribadirei gli stessi: al Sinai da straniero. Non devo appartenere, sto con i tredicesimi, estranei alla dozzina convocata. Mio titolo di viaggio è seguire in disparte.

 

Rimango volentieri nel deserto, il posto più capace di ricoprire un corpo con il vento.

 

 

Erri de luca

E disse

Feltrinelli  2011

 

 

 

 

 

  • vademecum

    …nel deserto a un uomo servono più nomi, più versioni della sua identità. erri de luca e disse